Laboratorio: il perchè di un minimo indispensabile

Una diagnosi internistica ma ancor più una qualsiasi terapia richiede che il medico conosca un minimo di esami che fotografino lo stato biologico del paziente.

Molti pazienti restano sorpresi e qualche volta irritati dalla richiesta che – prima della visita reumatologica – si insista sulla opportunità e spesso sulla necessità che si eseguano degli esami di laboratorio sul sangue e sulle urine e solo raramente anche dei radiogrammi e un po’ più spesso delle ecografie, oltre che si arrivi forniti di ogni pregressa documentazione relativa a eventi patologici anche lontani che abbiano interessato il paziente perchè ogni tessera del mosaico della storia del paziente può servire a fornire il quadro il più completo sia della situazione clinica presentata alla visita che delle proiezioni future relative sia alla malattia che alla terapia.



Ogni esame trova una sua ampia giustificazione per le esigenze del reumatologo, e in linea di massima, del medico di medicina generale!

Vediamo il significato degli esami che si richiedono:

La VES (o velocità di eritrocitosedimentazione) fornisce un dato molto generico ma di enorme rilevanza in grado di segnalare alterazioni le più svariate dalle anemie, alla condizioni infiammatorie (è la causa più comune) oltre che alterazioni delle frazioni proteiche con comparsa di proteine patologiche e addirittura tumori. Più è elevato il valore espresso in mm della 1a ora della VES e maggiore è l’importanza del dato acquisito che deve comunque spingere a trovarne una causa ragionevole in grado di darne una spiegazione.

La PCR o Proteina C reattiva (da dosare sempre in mg/ tenendo sempre presenti i valori definiti normali dal laboratorio che ha eseguito l’esame, in quanto i valori normali possono variare da laboratorio a laboratorio): la presenza di questa sostanza nel plasma circolante indica la coesistenza di processi infiammatori o di distruzione cellulare di entità variabile e correlata con la gravità del processo infiammatorio, infettivo o di distruzione dei tessuti (ad esempio trauma). Nelle patologie reumatiche e specie nelle artriti i livelli plasmatici di PCR indicano la persistenza dell’artrite o meglio della fase di infiammazione e di distruzione della cartilagine articolare. L’azzeramento di questo valore deve costituire l’obbiettivo della terapia con qualsiasi protocollo affrontata. Inoltre da qualche tempo si mette in relazione la positivizzazione di questo dato di laboratorio con la presenza di un potenziale o reale rischio cardiovascolare cioè a dire con la possibilità che nell’individuo, indipendentemente dalla sua patologia di cui soffre (artriti, spondiliti, infiammazioni intestinali, bronchiti croniche), compaiano in tempi più o meno brevi o manifestazione clinicamente inapparenti di accelerata aterosclerosi o di veri e propri accidenti cardiaci (infarto, angina) o vascolari (ictus trombosi etc). Pertanto un reperto anche accidentale di valori fuori norma della PCR deve imporre la ricerca della causa e , ovviamente, la messa in atto di ogni mezzo per eliminarla.

L’elettroforesi esprime la composizione delle diverse frazioni proteiche del sangue circolante: di particolare rilievo sono per il reumatologo la frazione delle alfa2 (il cui aumento percentuale rispetto alla norma esprime l’entità dell’infiammazione in atto) più importante in tal senso dell’aumento della frazione gamma che invece indica un disordine cronicizzato di una infiammazione o di una infezione cronica (quale ad esempio nelle epatiti, nelle bronchiti nella reumatoide, nella colite ulcerosa etc).

L’emocromo fornisce dati relativi alle condizioni di quel tessuto fluido che è il delle condizioni del sangue circolante e delle sue componenti cellulari: i globuli rossi, quando ridotti giustificano la diagnosi di anemia, specie se poveri del loro specifico pigmento respiratorio cioè l’emoglobina (Hb); altrettanto importante il numero e le percentuali dei globuli bianchi: un loro aumento in toto indicato come leucocitosi mostra una reazion e infiammatoria dell’organismo; il loro valore assoluto può ben superare quota 10,000 elementi Altrtettanto importante è il loro rapporto percentuale: un aumento oltre i valori limiti dei gl.bianchi neutrofili indica particolari condizioni in cui l’organsimo si difende (come accade ad esempio nella artrite psoriasica , nella polimialgia, nelle artriti giovanili e nelle artriti reattive e nella stessa sclerodermia oltre che ad esempio nei focolai broncopneumonici). La riduzione dei gl. bianchi in assoluto si ha nelle patologie del connettivo e specie nel Lupus eritematoso sistemico (LES) a valori che possono scendere anche al di sotto dei 2.000/ m3.

Le piastrine circolanti sono importanti per definire la gravità di un processo infiammatorio: più alto il loro numero /m3 in assoluto maggiore è la infiammazione ovunque attiva. Condizioni di elevato numero di piastrine potrebbero favorire episodi trombotici anche misconosciuti e comunque aumentare il rischio cardiovascolare del paziente. Condizioni opposte, cioè di basso numero di piastrine al di sotto di 100.000 elementi/m3 (cioè di piastrinopenia) possono rappresentare la spia di particolari patologie (ad esempio autoimmuni o di malattie come il Lupus). Il reumatologo, ma qualsiasi altro medico dovrebbe essere a conoscenza se il paziente è portatore di valori bassi di piastrine in quanto anche molti farmaci antinfiammatori possono accentuare questo fenomeno portando il numero delle piastrine a valori critici tali da poter indurre emorragie sia superficiali che non visibili e per questo pericolose (intestino etc).

Le transaminasi, le gammaGT, le fosfatasi alkaline sono degli enzimi che si determinano nel sangue circolante e che indicano in linea di massima le condizioni del fegato: una loro alterazione indica una situazione di insufficienza dell’organo (una alterazione delle transaminasi possono spesso segnalare la presenza di mai diagnosticate forme di epatite nel passato, mentre un aumento delle gammaGT possono indicare una concomitante steatosi o fegato grasso, mentre un aumento delle fosfatasi alcaline potrebbero testimoniare una condizione di cattivo funzionamento nell’ambito del distretto biliare). Pertanto un loro aumento deve imporre un allargamento del percorso diagnostico ai marcatori delle epatiti virali, alle condizioni delle vie biliari, alla possibile presenza di steatosi del fegato.

La funzione globale del rene è segnalata dai livelli della creatininemia che come attendibilità ha ormai sostituito la antica misurazione della azotemia: è chiaro che il riscontro da parte dello specialista di valori patologici o per lo meno fuori norma della creatinine mia finisce con il creare oggettive condizioni di limitazione all’uso di molti farmaci, non solo degli antinfiammatori, ma anche antibiotici e molti altri che si usano più comunemente.

La determinazione del fibrinogeno fornisce un valore molto generico relativo non solo alla coagulazione ma soprattutto alla infiammazione, indicando indirettamente anche un aumento del rischio cardiovascolare: una sua riduzione deve imporre una indagine sulla funzione epatica, mentre un suo aumento- specie se accentuato – rappresenta un marcatore di infiammazione dei vasi (vasculite). Il suo andamento può andare in parallelo con quello della PCR in molte condizioni infiammatorie.